È il Pay-Per-Gaze il futuro dell’advertising?

Pay per gaze

Ormai è sotto gli occhi di tutti: siamo nel pieno boom del web advertising.

Banner, pay per clic, social network ads (Facebook, Twitter) e chi più ne ha più ne metta. Quale sarà la prossima frontiera? Noi un’idea ce l’abbiamo: si chiama Pay-Per-Gaze!

Non stiamo parlando di fantascienza, né di una vera e propria novità, anzi…

Forse qualcuno lo ha dimenticato, eppure quando la notizia uscì fece molto scalpore, era l’avanguardia dell’advertising e già all’epoca si facevano funamboliche previsioni e imprevedibili pronostici.

Era il 2013 e su Mashable uscì un articolo in cui si parlava del Pay-Per-Gaze come del “futuro dell’advertising” e di come il modo di fare pubblicità sarebbe cambiato più nei successivi 20 anni di quanto non fosse successo negli ultimi 100.

Ma cos’è questo Pay-Per-Gaze? Da dove è spuntato fuori? E soprattutto: è davvero il futuro?Procediamo con ordine e facciamo un po’ di storia.

Tutto ha origine nel 2011 con la presentazione di un brevetto di Google in cui si fa riferimento ad “una tecnica di tracciamento dello sguardo implementata con un dispositivo di tracciamento dello sguardo montato sulla testa, che comunica con un server. Un algoritmo di riconoscimento delle immagini identifica gli oggetti della scena esterna osservati dall’utente. Viene generato un log di tracciamento degli elementi guardati dall’utente”.

Cosa si nasconde dietro questo nuovo enigma da Sfinge? Non sarà mai che si sta parlando dei famosi Google Glass? Beh a molti è parso di sì (anche se Big G non ha mai confermato né smentito). E allora giù con le teorie sul come, sul quando e così via.

In sostanza il Pay-Per-Gaze sarebbe (perché, di fatto, ancora non è) una rivoluzionaria tecnica di fruizione e pagamento delle inserzioni pubblicitarie: il suo diretto predecessore è il pay-per-clic, solo che invece di pagare per ogni clic si pagherebbe per ogni “sguardo”. Inoltre si potrebbe conoscere l’impatto emotivo e il grado di attenzione rispetto ad una certa immagine o ad un certo messaggio analizzando la dilatazione delle pupille dell’osservatore. Rivoluzione, eccome!

Ma tutto si è presto consumato. Un fuoco di paglia. Perché?

Ad oggi non ci resta che guardare ai dati, o meglio ai fatti:

  • L’esperimento dei Google Glass Explorer può dirsi, senza mezzi termini, fallito, almeno rispetto ai maestosi progetti iniziali. Il costo sicuramente non ha aiutato a favorire la diffusione del prodotto: 1500 dollari (USA) o 1000 sterline (UK) non sono proprio monetine. D’altra parte possiamo facilmente intuire come il mercato non fosse ancora pronto, e forse non lo è neanche adesso. Ma le esigenze e i desideri degli utenti si evolvono in fretta, bisogna solo aspettare il momento giusto: un po’ come è già successo per gli smartphone.
  • Il progetto non è stato affatto abbandonato: Google ha affidato a Tony Fadell (ex Apple) il compito di “ripensare” interamente i Google Glass per rilanciarli sul mercato rendendoli maggiormente accessibili.
  • La concorrenza di Big G ha già iniziato a farsi sentire. Giusto per citare due case arcinote: Microsoft ha lanciato il suo Hololens per la realtà aumentata e Sony ha messo sul mercato i suoi SmartEyeglass.

Proprio quest’ultimo punto deve far riflettere sull’imminenza (nonché l’esigenza) dei nuovi sistemi di advertising. Pensiamo, per esempio, che questa nuova tecnologia indossabile permetterebbe di sfruttare e quindi di misurare non solo la pubblicità online, ma anche tutta quella offline. Le implicazioni sono talmente tante che si fa fatica a immaginarle tutte.

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