Growth hacking, la strategia spregiudicata della crescita a tutti i costi

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Spregiudicato, frenetico, multicanale e dirompente. Sono tanti gli aggettivi che si possono mettere in fila per spiegare il Growth hacking, un approccio metodologico, a metà strada tra il marketing e la programmazione, che consiste nella sperimentazione rapida di tecniche diverse aventi un unico obiettivo: la crescita di un business e l’aumento delle conversioni.

Il lavoro di un growth hacker può prosperare laddove c’è più margine di manovra, nelle piccole e medie imprese e nei business nascenti dove la licenza di rischiare è più ampia e il prodotto con cui si ha a che fare è ancora acerbo, in via di definizione, non ancora strutturato in un assetto definitivo e consolidato.

La parola d’ordine del Growth hacking è una sola: sperimentazione. Si tratta di un processo fatto di esperimenti diversisvolti in rapida successione sul prodotto e sui canali di marketing. L’obiettivo è quello di trovare il metodo più rapido ed efficiente per far crescere un business.

Un’altra cosa da tenere a mente è che nel growth hacking non esistono casi ripetibili. Ciò che ha elevato un’idea, un brand, un prodotto e ne ha guidato la crescita potrebbe non funzionare due volte. Ovvero per un altro brand  o un altro prodotto. Un po’ perché ogni settore e ogni caso sono a sé stanti; un po’ perché, come diceva Eraclito, non ci si può immergere per due volte nello stesso fiume. Il mercato è in continuo divenire, soprattutto nel campo del marketing. E tende ad esaurire in fretta ogni tecnica, soprattutto se viene reiterata passivamente e senza originalità.

Il growth hacker, invece, è colui che si lascia guidare da trovate dirompenti, più o meno lecite. Contano solo i risultati da raggiungere, non i mezzi con cui questi vengono raggiunti. E il risultato da conseguire è uno e uno soltanto: la crescita. Una crescita che dev’essere vertiginosa e rapida.

Non a caso, c’è chi, come Airbnb, non ha esitato a mettere in pratica una vera e propria campagna da hacker per far crescere rapidamente il volume dei propri utenti. All’inizio della sua avventura, la startup di home sharing si è servita di Craiglist, una piattaforma di annunci immobiliari popolata da milioni di utenti. Quelli di Airbnb hanno iniziato a contattare tutti coloro che pubblicavano i propri annunci su Craiglist. Per invitarli a pubblicare le loro proposte immobiliari anche sul loro portale.

Il growth hacking non si avvale solo di espedienti al limite del lecito. Al contrario, la sua peculiarità è quella di sfruttare tutte le possibilità offerte dai canali digitali: siti web, landing page, A/B test, email marketing, condivisioni social, etc., ma con una differenza sostanziale rispetto al marketing tradizionale: il lavoro del growth hacker inizia con la costruzione del prodotto. Il lavoro sul prodotto fa del growth hacker non un semplice marketer, che si preoccupa di esaltare le caratteristiche di un prodotto. O di intercettare il favore del pubblico con una comunicazione efficace. Ma lo eleva a ingegnere creativo che ne ridefinisce costantemente le caratteristiche e il funzionamento.

Il growth hacker plasma la crescita del prodotto sul prodotto stesso. A tal proposito, un caso lampante è quello di Dropbox. Il servizio di file hosting ha visto crescere il numero dei suoi utenti da 0 a 200 milioni in pochi anni, sfruttando un espediente tanto semplice quanto geniale: Con la promessa di ottenere dello spazio gratis, gli utenti sono stati invitati a consigliare ad un amico il servizio. In questo modo, gli utenti già iscritti sono diventati dei veri e propri ambasciatori del prodotto. Una tecnica dagli sforzi contenuti ma dai risultati eccezionali, con cui è il prodotto stesso ad autopromuoversi.

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