Dani Alves e il marketing: #SomosTodosMacacos

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dani alves somostodosmacacos

E’ ormai diventato virale il gesto fatto domenica scorsa dall’esterno del Barcellona, Dani Alves, durante la partita contro il Villarreal: quasi colpito da  una banana, lanciata in campo con chiaro intento razzista, il difensore si è letteralmente difeso (in tutti i sensi) raccogliendo il frutto (e l’insulto) e rispondendo mangiandolo davanti a milioni di spettatori strabiliati. La risposta, a suo dire del tutto spontanea, sembra però frutto di un’azione di marketing (per quanto assolutamente a fin di bene) ben mirata e studiata. Parliamone insieme.  

Il giocatore, nelle dichiarazioni rilasciate dopo l’eclatante gesto, ha ammesso di avere semplicemente fatto ciò che gli sembrava più opportuno in quel momento, ovvero raccogliere la banana (stranamente lanciata in uno stadio) e mangiarsela, senza stare troppo a pensare alle conseguenze e ai significati che quell’azione avrebbe -e di fatto ha- potuto portare con sè.

L’immagine, infatti, ha immediatamente appassionato amici e fan di tutto il mondo, che hanno voluto imitare il gesto di Alves e lo hanno condiviso su tutti i principali social network, per supportare il calciatore e la sfida da lui lanciata contro il razzismo, purtroppo ancora dilagante in questo sport.

#somostodosmacacos

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La viralità del video e delle foto legate all’episodio, assolutamente positiva poichè capace di diffondere un messaggio antirazzista che può e che deve essere condiviso e diffuso il più possibile in tutto il pianeta, ha però fatto anche pensare. Già da tempo, infatti, il calciatore come alcuni suoi colleghi (tra cui Neymar) si lamentavano degli insulti costanti ricevuti negli stadi perciò si è pensato ad un messaggio pianificato, volto a lasciare un segno indelebile nelle menti di tutti gli spettatori, così da cessare -o perlomeno da placare- la portata razzista dei messaggi violenti rivolti a questi sportivi.

Guga Ketzer, socio dell’agenzia Loducca, ha dato credito a questi sospetti, confermando che la sua agenzia (che cura anche l’immagine pubblica di Neymar) si è occupata di organizzare un evento simile preparato in realtà per l’attaccante del Barcellona ma fortuitamente messo in atto dal difensore Alves.

Rispetto al significato e alla portata di questo evento, poco importa se fosse organizzato a tavolino o se si è invece trattato di un atto spontaneo dettato solo dalla reazione costruttiva del calciatore: ciò che conta è che il messaggio antirazzista trasmesso deve essere sempre più condiviso e sottoscritto. La rete sembra, in questo senso, aver apprezzato e supportato la causa con l’hashatag #SomosTodosMacacos (“siamotuttiscimmie“).

Dal punto di vista specifico del marketing, invece, se effettivamente questo gesto è stato progettato e pensato da un’agenzia (e i maligni hanno visto nell’immediato lancio commerciale di magliette, riportanti l’hashatag e il disegno di una banana, da parte di un imprenditore conoscente di Neymar, la conferma della natura esclusivamente economica della scenetta) è evidente come il marketing virale, non convenzionale, soprattutto quando si sposa con idee geniali e si mette a servizio di cause positive e  benefiche come queste è la strategia migliore per diffondere rapidamente ed efficacemente un messaggio concreto e indelebile.

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